Come ogni anno, Portici di Carta viene dedicata ad una personalità importante della letteratura contemporanea. Per gli organizzatori della manifestazione di quest’anno è subito risultato ovvio a chi dovesse andare questo onore: Andrea Camilleri, scomparso il 17 luglio scorso. Per omaggiare lo scrittore siciliano si è tenuto un incontro ieri 5 ottobre presso l’oratorio San Filippo Neri. Antonio Manzini e Antonio D’Orrico hanno ricostruito e mostrato al pubblico l’essenza di Camilleri attraverso video, citazioni e aneddoti della loro amicizia con lo scrittore. La casa editrice Sellerio ha avuto un ruolo nell’incontro, così come lo ha avuto nella vita di Camilleri. Manzini, autore della serie di romanzi con Rocco Schiavone come protagonista, diventata negli ultimi anni una fiction, si è soffermato sul ruolo di maestro che ha avuto Camilleri per lui, oltre che di amico, mentre D’Orrico, giornalista e saggista, ci ha raccontato di come in qualsiasi circostanza lui facesse emergere il suo essere scrittore.
Manzini ha condiviso con il pubblico il legame che aveva con lo scrittore, e addirittura è a lui che Camilleri aveva fatto leggere il manoscritto del primo romanzo di Montalbano, prima della pubblicazione. Particolarità di questo manoscritto era l’assenza di correzioni: Camilleri l’aveva scritto completamente di getto. Non bisogna stupirsene: Manzini sostiene che ci fossero tre scrittori all’interno di Camilleri: l’unico a batterlo nella velocità di stesura di romanzi era Simenon. Manzini, in quanto scrittore anche lui per Sellerio, racconta di aver patito il confronto con Camilleri.
Invece D’Orrico ha cercato di ricostruire una conversazione con Camilleri, prendendo spunto da uno dei loro incontri. Ci ha illustrato come Camilleri mette in moto la “macchina narrativa” ogni volta che parla: il suo essere scrittore non lo abbandona mai. Anche D’Orrico lo paragona a Simenon, ma in un altro modo: mentre Simenon teneva sulla scrivania vari cambi di camicie perché scrivendo sudava molto, Camilleri invece disse che la scrittura spesso gli faceva salire la febbre di poco. Ma lui continuava a scrivere lo stesso, perché “con 37 di febbre si va a lavorare”.
Camilleri non ha mai ricevuto il titolo di Cavaliere del Lavoro, anche se, come dice Manzini, avrebbe dovuto. Questo incontro è riuscito nell’intento di far capire agli spettatori come lui se lo sarebbe dovuto meritare, vista il suo immenso contributo alla cultura letteraria italiana.
Jacopo Cardinale, Roberta Peiretti
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