“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.” Così scriveva l’autore Primo Levi nelle pagine del suo celebre libro “Se questo è un uomo”. Se dunque non siamo in grado di comprendere le agghiaccianti esperienza dei milioni di ebrei, zingari e omosessuali deportati nei lager, è nostro diritto ma anche dovere conoscere tutto ciò, senza dimenticare. Perché a differenza di quello che molti sostengono, la Shoah è veramente esistita e malgrado rappresenti la testimonianza dell’estrema cattiveria e ignoranza umana, non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Il termine “Shoah”, che significa “catastrofe, disastro” venne usato per la prima volta nel 1938 in riferimento alla Palestina sottoposta al mandato britannico durante una riunione del Comitato Centrale del Partito Socialista; ma la parola “Shoah” no ha un significato strettamente religioso come può essere invece l’Olocausto, che rinvia a un sacrificio di espiazione, con “Shoah” si indica lo sterminio attuato per opera dei nazisti dei milioni di ebrei ma anche dei Testimoni di Geova, degli omosessuali, degli zingari, dei dissidenti politici e di tutte quelle vittime che molto spesso vengono messa da parte senza essere prese in considerazione. Dopo quasi 68 anni dalla fine di una guerra che viene ricordata come uno dei peggiori, o forse il peggior massacro nella storia d’Europa, noi tutti commemoriamo nel giorno 27 gennaio le spaventose esperienze vissute in quei campi di concentramento, che rivivono ancora oggi nei pensieri dei sopravvissuti, pensieri dai quali non potranno mai scappare e che porteranno con sé per il resto della loro vita come una cicatrice indelebile del loro passato. Secondo la mia opinione è giusto non dimenticare, è giusto conoscere ciò che è accaduto per non tornare a sbagliare. Il ricordo è doloroso, soprattutto per quelle persone che sono state vittime in prima persona di quelli avvenimenti, ma gli errori ci permettono di crescere e imparare come singolo, ma anche come popolo di un intero stato e sbagli come quello della Shoah ci insegnano a rispettare gli altri, omosessuali o ebrei che siano, in una comunità che sta diventando sempre più multietnica ogni giorno che passa. La diversità porta alla mente dell’uomo il concetto di qualcosa di pericoloso, qualcosa dal quale allontanarsi e proteggersi, ma contrariamente la diversità dovrebbe essere quel qualcosa che ci porta a scoprire e conoscere cose sconosciute; dovrebbe essere considerato come un pregio e non come un difetto che ti contrassegna. Così invece venivano trattati i deportati nei lager, come animali senza identità segnati dal solo peccato di essere diversi, diversi da quella razza ariana tanto perfetta secondo Hitler. Quest’ultimo infatti riteneva che la purezza era caratteristica solo della razza ariana, mentre tutte le altre, specialmente quella ebraica, dovevano essere eliminate perché considerate non degne. L’antisemitismo, ossia i pregiudizi e gli atteggiamenti persecutori nei confronti delle popolazioni ebraiche, era già presente in Europa intorno agli anni ’20 e ’30, ma dopo la pubblicazione nel 1925 del “Mein Kampf” (“La mia lotta”) di Adolf Hitler, queste pratiche divennero sempre più frequenti fino alla vera e propria esclusione degli ebrei dalla società tedesca con le leggi di Norimberga e all’emigrazione forzata di questi nei campi di concentramento e di sterminio. Dopo tutti questi anni è nostro dovere dunque ricordare quei “diversi”, vittime dell’ignoranza, di uno spaventoso genocidio sul quale non si dovrebbe mai porre il silenzio ed è per questo che nel 2000 è stata istituita la legge per aderire alla proposta che riconosce il 27 gennaio come “Giorno della memoria”, con lo scopo di aiutare il nostro Paese, ma anche tutto il resto del mondo, ad accettare e rispettare quel “diverso” rappresentato oggi da omosessuali, extracomunitari e tutti coloro che per una qualsiasi ragione non rispecchino la nostra idea di normalità. Tuttavia la paura di una possibile ripresa è sempre presente, ne sono un esempio popolazioni come quella armena e cecena, perseguitati da secoli e costretti a una diaspora senza fine. Questi sono proprio gli esempi che si dovrebbero evitare, esempi di popolazioni ancora troppo arretrate in un mondo che corre troppo veloce, ma che lascia dietro di sé pezzi di storia importanti dimenticati nell’angolo più remoto di un cassetto senza mai prestarvi attenzione; perché saremmo anche un popolo moderno e tecnologicamente avanzato, ma quando si passa dalla tecnologia ai valori fondamentali, come ad esempio quello della libertà e del rispetto reciproco, il mondo intero si arresta e la sua corsa non pare più così tanto veloce.
Giulia Fontecedro 4M
Antologia della Memoria realizzata dai ragazzi del Liceo Scientifico Grigoletti di Pordenone
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