2 ottobre 2016. Una data apparentemente normale, in linea di massima, per i lettori di Internazionale, l’ultimo triste giorno del festival ferrarese. Eppure tale giornata è anche quella eletta dal Primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orban, a fatidico giorno del referendum in cui il popolo magiaro deciderà se accettare o meno la distribuzione dei migranti imposta dalla Commissione Europea. Tale evento, all’occhio disattento isolato, è comunque solamente l’ultimo passo di un lungo processo definito da Eric Jozsef, corrispondente in Italia per Libération, come un lento declino verso una democrazia autoritaria. Le vicende ungheresi, iniziate con le leggi sul controllo della stampa del primo gennaio 2012, diventano per gli ospiti dell’incontro tenutosi alla Facoltà di Giurisprudenza spunto per una riflessione sull’attuale stato di salute della democrazia europea. Si discute infatti, grazie all’intellettuale polacco Jarosław Mikołajewski, anche della situazione della Polonia, governata da una fortissima destra legata ad ambienti ultra-cattolici caratterizzati da un violento conservatorismo (fattore che li porta a preferire l’anti abortista Giovanni Paolo II al più solidale Jorge Bergoglio) e a notevoli tendenze complottiste nei confronti della morte dell’ex-presidente Lech Kaczyński, avvenuta per un incidente aereo nel 2010. Per quanto le questioni sul tavolo possano sembrare minori, non bisogna trascurare i gravi casi di controllo governativo diretto sull’informazione portata avanti in entrambi i Paesi dell’Est Europa. Esiste dunque in Europa, nel suo stesso cuore, un seme autoritario e repressivo che potrebbe facilmente portare a credere come il progetto comunitario sia privo di un patto democratico (critica sollevata dalla stessa presentazione dell’evento)? Forse sì, abbiamo effettivamente dei Paesi che potrebbero potenzialmente divenire delle dittature, oppure semplicemente siamo stati noi, come suggerisce il giornalista Giampiero Gramaglia, a tralasciare tali questioni, a dimenticare come l’Unione in sé sia, in base ai Criteri di Copenaghen, un patto di democrazia. I popoli di Polonia e Ungheria non sono allora composti da pazzi desiderosi di essere oppressi, quanto più disperati e stremati da un’Europa unita solo a parole, che non bada a risolvere le questioni dei più deboli, che non si mostra in grado neanche di portare avanti la benché minima forma di cooperazione e sviluppo. Nascono e crescono solo a questo punto, sottolinea Thierry Vissol, anche nell’Europa occidentale i vari Front National e Lega Nord, che attraverso linguaggi semplici, informazioni approssimative e vuote soluzioni banali e utopiche riescono comunque a cogliere il piacere delle frange meno abbienti, per le quali “gli ultimi 25 anni sono stati un disastro”. L’Europa allora non ha un deficit di democrazia, ma possiamo concludere che ne sia completamente priva, arrivando a consegnare i suoi stessi cittadini a fascismi autoreferenziali e distruttivi.
Piervittorio Milizia, Liceo Classico Ludovico Ariosto, Ferrara
Lorenzo Mollo, Liceo Classico Vittorio Alfieri, Torino
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