Antonio Scurati esordisce con un verbo alquanto particolare, tipico degli ospedali milanesi: partocipare, per definire il fulcro del romanzo breve di Tommy Wieringa “Una moglie giovane e bella”.

Esso viene delineato da Scurati seguendo un filone molto personale e soggettivo. Il romanzo infatti permette al lettore di mettersi nei panni di chiunque abbia mai provato dolore. Il tema principale, dice Tommy Wieringa, è proprio il dolore. Un dolore che attraversa la madre nel momento del parto, il neonato nei primi sei mesi di vita e il padre quando si rende conto di essere come uno sconosciuto per il figlio. Nei primi anni di vita del bambino, infatti, il padre fatica a trovare il suo ruolo dal momento che madre e figlio non hanno occhi che per loro stessi.

“Ora li capisco”, dice l’autore ricollegandosi alle sue origini e ironizzando sul fatto che ad Aruba, luogo in cui è nato, i padri sono soliti frequentare altre donne mentre la moglie è incinta e al momento della nascita, abbandonarla completamente.

Risulta evidente una contrapposizione tra il protagonista e l’amata. Lui completamente distaccato da tutto ciò che è sofferenza, la rifiuta a prescindere. Lei è connessa con ogni tipo di dolore, umano o animale che sia.

Lo capisce e lo accoglie ma nel momento in cui lo prova, questo dolore, lo vuole affrontare completamente da sola. Inizia così l’insofferenza del padre, nel sentirsi inutile e incapace di comprendere. Per lui infatti, che fin da bambino ha seguito la cultura cartesiana, gli animali non provano dolore e tale credenza lo porta, in quanto virologo, a sperimentare sugli animali e a provare una sorta di piacere nel vedere i loro cadaveri. Un uomo fragile in fin dei conti che, non meno degli altri, si trova ad affrontare le pene della vita. La sua storia si chiude con un pianto liberatorio davanti a una platea di persone, mostrando ciò che realmente prova.

Tommy Wieringa e Antonio Scurati precisano che non viene narrato solo il dolore ma anche la felicità, l’amore. Tema poco affrontato per volontà dell’autore di arretrare di fronte alla felicità, per lasciarcela immaginare. Wieringa così dimostra umanità nell’esporre la sua intimità, non solo una semplice trama e lasciandosi mettere in discussione dalle domande del pubblico.

Francesca Sorice

Liceo Alfieri