Mondovì è un paese accomodato tra le montagne, le colline e la pianura, fatto di salite, dislivelli, profili dei monti innevati, col bel tempo. L’istituto Alberghiero “Giolitti-Bellisario-Paire” è stato spostato dalla sede abituale a una provvisoria a causa di una frana, fortunatamente avvenuta durante le vacanze di Natale, quando la scuola era vuota.

Finisco nel posto sbagliato, mi indirizzano verso la sede giusta. Quando entro, è l’ora dell’intervallo. Decine di ragazzi nei corridoi che indossano le divise. Giacca blu, cravatta a righe rosse, pantaloni grigi. Penso di aver sbagliato ancora, di essere finita da qualche altra parte del mondo – in Australia, in Scozia (mi vengono in mente i film ambientati nei collegi, School of Rock, Angus Young degli Ac/Dc). Invece è il posto giusto. Sono assegnata alla 1 C, la professoressa che mi seguirà si chiama Antonella Cartillone: è giovane, ansiosa quanto me di cominciare. Mi spiega che è originaria di Bronte, si è trasferita a Mondovì sei anni fa.

I ragazzi si alzano appena entro, dritti nelle loro divise. Hanno gli occhi limpidi, curiosi – non solo incuriositi, curiosi. Dopo un attimo di imbarazzo iniziale partono con una raffica di domande. Sono interessati a conoscere la mia storia, vogliono sapere cosa significhi scrivere, essere uno scrittore, nella vita di tutti i giorni. “Non siamo abituati ad averne uno davanti”, dicono. “Solo a leggerli sui testi di scuola.” Ringrazio per l’accostamento, essere messa al pari con gli autori classici ma, spiego, non sum dignus.

Al secondo incontro i ragazzi conoscono Un buon posto dove stare, tutto o in parte. Leggiamo un paio di racconti in classe, cerchiamo di capire insieme i personaggi, le loro azioni, perché si comportano in  un certo modo, perché prendono certe decisioni. La professoressa Cartillone mi aiuta a creare una connessione fra le storie del libro e le esperienze dei ragazzi, l’età che stanno vivendo, la curiosità e al tempo stesso il timore con cui si approcciano alla vita.

Per il terzo e ultimo incontro cambiamo sede. Libreria Lettera 22, gestita da Vittoria e Giampiero, che aprono eccezionalmente al lunedì, solo per noi. Parliamo ancora del libro, leggo un racconto di Ray Bradbury, Ora zero. Prima di andare via facciamo le foto, poi i ragazzi mi dicono di fermarmi. Vanno nella stanza a fianco, escono con un mazzo di fiori rosa e bianchi, bellissimi, e una lettera. “Hanno fatto tutto loro”, sorride la professoressa Cartillone. Nella lettera c’è scritto che sono diventata un’amica ormai, una sorella maggiore, che sperano che io li torni a trovare presto. C’è scritto di sbrigarmi a terminare il prossimo libro così possono adottarmi di nuovo. Il resto di quello che c’è scritto lo tengo per me: è privato, come è giusto che siano le cose belle, come ho cercato di spiegare ai ragazzi in queste giornate insieme – abbiamo riflettuto molto sul tema del segreto, della reticenza. Loro hanno domandato, riflettuto, obiettato, ponderato. Hanno riconosciuto e condiviso alcune cose, altre le hanno messe in dubbio, senza mai giudicare, ma con la gentilezza e l’apertura di chi ha urgenza di osservare, sapere, conoscere.

Quando sono arrivata qui pioveva, era lunedì mattina e pioveva. Ora è c’è un sole caldo. Le montagne sull’orizzonte, gli occhi dei ragazzi che sorridono, luminosi, mentre mi consegnano i fiori e la lettera scritta su carta rosa.

Francesca Manfredi