Il Salone del Libro ha avuto il piacere di accogliere Katja Petrowska, che ha presentato il suo ultimo libro “Forse Esther” in una conferenza-intervista con Emanuele Trevi, critico letterario e scrittore e Roberto Cazzola, scrittore di racconti in tedesco e italiano e studioso di ebraico biblico.

“Spara nelle tenebre e anni dopo sono le tenebre a sparare di rimando” cita Emanuele Trevi. Questa frase presente nel libro dell’autrice di origini ebraiche, nata nell’Unione Sovietica e attualmente residente a Berlino, fa cogliere a noi del pubblico l’essenza del libro, ovvero il fatto che sia impossibile separarsi dalle proprie origini ed è naturale riviverle con insicurezza. Per scrivere questo libro Katja ha compiuto una grande ricerca introspettiva, attraverso le origini della sua famiglia, oppure, forse, la narrazione è stata una conseguenza di questo riappropriarsi delle proprie radici. Quando ha dato inizio alla sua ricerca, l’autrice non ha riscontrato l’approvazione della sua famiglia, che avrebbe preferito vederla sognare un futuro, piuttosto che scavare in un passato di sofferenze. Compiendo questo viaggio  la Petrowskaja riesce a risvegliare nel lettore la fame di sapere; narra una storia epocale attraverso le vicende di una famiglia, la sua. Katja è la bottiglia attraverso cui il ricordo di nonna Esther prende forma. Usando “l’io” nella narrazione ci fa comprendere i nostri limiti: l’uomo che anche se si perde, se fa la domanda sbagliata,  non può fare a meno di vivere e carcare la sua storia. Katja Petrowskaja ha cercato di muoversi tra storie familiari e una storia molto più ampia, che non essendo una storica cerca di ricostruire sotto forma di reportage, seppur cosciente di non poter raggiungere la completezza del suo obbiettivo: ricostruire le sue origini.

“Pensavo in russo, cercavo i miei parenti ebrei e scrivevo in tedesco”, questo perchè se avesse scritto in russo sarebbe risultato un memoire, mentre scrivendo in tedesco riesce ad estraniarsi, rendendo la lingua tedesca l’unico elemento fittizio, dato che: “con questo libro ho cercato un interlocutore, non la mia identità”.

 

Francesca Sorice

Redazione Alfieri