Dal 2006 aumentano spropositatamente superando la media di 120 delitti all’anno. Nel 2
011 veniva uccisa una donna ogni tre giorni. Nel 2012 una ogni due. Nella maggior parte dei casi, l’assassino aveva le chiavi di casa. Non si tratta di “delitti passionali” ma di femminicidi. Le parole hanno un peso: eliminare qualsiasi attenuante implicita dalla lingua corrente è un primo passo verso una presa di coscienza radicale e concreta. Occorre porsi seriamente il problema della violenza maschile contro le donne uscendo dal clima di negazionismo, omertà e banalizzazione in cui si cerca di ingabbiare le denunce femministe, rimettendo in discussione un modello di relazioni sociali, politiche ed economiche incentrato sulla prevaricazione dell’uomo; distruggendo l’immaginario e le pratiche che quotidianamente ci ripropongo la donna come soggetto violabile, ovvero come oggetto di dominio. In Italia questo è un problema prima di tutto culturale alimentato da quello che tecnicamente viene definito gender backlash, ovvero la continua ed incessante denigrazione e riduzione del genere femminile; quella operata a livello mediatico da trasmissioni populiste, dalle pubblicità, dalla cultura androcentrica e maschilista. Per ognuno di questi episodi esistono dei precedenti, dei complici e dei mandanti: essi sono ovunque si trasmettano disvalori misogini. Non è un problema meramente legislativo né finanziario: sicuramente è necessario che il Parlamento legiferi adeguatamente in materia di femminicidi e che, parallelamente, vengano destinate consistenti risorse a tutti i centri che prestano assistenza di qualsiasi genere alle vittime di violenze, ma la lotta da condurre è principalmente culturale. In un periodo di recessione economica che si è tradotto nella macelleria sociale coordinata dalla BCE e dal FMI, si parla di diritto al lavoro per il ripristino dell’art.18 o di diritto allo studio contro i ministri Profumo e Gelmini, ma la questione di genere è trasversale a tutti questi problemi e a tutti gli strati sociali. Manifestare che in Italia esiste un problema reale che riguarda la violenza maschile (con la consapevolezza che questa costituisce soltanto la punta dell’iceberg) non significa sostenere la guerra fra generi né essere giustizionalisti. Femminismo non implica difendere le donne a prescindere, ma battersi per affermare che anche queste hanno diritto ai diritti in ogni settore della vita sociale, politica ed economica di cui sono parte integrante. Non è inasprendo le pene che si elimina il problema dei femminicidi: occorrono prevenzione, formazione e mutamento culturale. I femminismi non sono barzellette, caricature, faccende da snob, frigide e bacchettone, da signore con collane di perle che bevono il tè a metà pomeriggio: nonostante la banalizzazione dei contenuti, tutte le lotte che sono state portate avanti da milioni di donne (e uomini) hanno distrutto la vera essenza del femminile che è sacrificio e mansuetudine, sottomissione e annullamento del sé. La parità sessuale è un diritto, non un privilegio.

Irina Aguiari

Gruppo Galeotto Fu Il Libro

Liceo classico “L. Ariosto”, Ferrara